Olmo – Roverella

SAN SEVERINO MARCHE – Caruccio

Olmo

(tratto da “Alberi monumetali delle Marche” di Valido Capodarca, Roberto Scocco Edizioni Uff. vendita 0733 203747)

m. 3,14

olmo

E’ radicato in località Caruccio ed è raggiungibile attraverso una strada campestre che si stacca, seguendo la sponda destra del Potenza, sulla sinistra della provinciale che conduce da San Severino a Tolentino.

Si tratta di un esemplare di indubbio interesse, tanto da essere stato censito nel 1989 in un’indagine a livello nazionale tesa a monitorare i più significativi esemplari che avevano mostrato di resistere alla grafiosi, l’inesorabile malattia che ha portato la specie sulle soglie dell’estinzione nel nostro Paese.

Negli ultimi anni ha mostrato segni di malessere, con ritardo nella ripresa vegetativa primaverile e sofferenza estiva.

Molto avveduta è stata l’intuizione del suo proprietario, Vincenzo Rossetti, il quale, avendo compreso che la causa andava fatta risalire alla siccità degli ultimi anni, ha provveduto ad irrorarlo in abbondanza.

L’albero ha trovato posto, unico della sua specie, nel recente volume della Provincia “Alberi custodi del Tempo”


SAN SEVERINO MARCHE – Palazzata

Roverella
m. 4,50

roverella_palazzata

Interessantissima Quercia, di aspetto molto vetusto, dominante da un’altura, nei pressi di Palazzata, che localmente ha il nome di Palombare, probabilmente per l’antica presenza di alcune colombaie.

La pianta appartiene da molte generazioni alla famiglia Baleani ed è proprio il dottor Giampaolo Baleani, ex comandante del Corpo Forestale delle Marche, a fornirci le poche notizie rintracciabili sulla pianta.

Che essa debba avere un’età considerevole è deducibile dal fatto che sotto di essa corre un filone di terreno gessoso, pertanto poco favorevole a un rapido sviluppo della Quercia: infatti, da qui veniva estratto il materiale per le fabbriche di gesso della zona.

La casa colonica adiacente, ora in ristrutturazione, ha ospitato per secoli generazioni di contadini, con le quali la Quercia ha condiviso la propria esistenza.

L’ultimo mezzadro che vi ha abitato soleva tenere legato il maiale direttamente sotto la pianta, perché si nutrisse spontaneamente delle ghiande che essa forniva in abbondanza.

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